di Stefano Montanari
La peste suina africana (PSA) è una malattia infettiva virale ad elevata morbilità e mortalità che colpisce i suidi sia domestici che selvatici. A causa del vasto e rapido potenziale di diffusione internazionale nonché per la capacità di raggiungere proporzioni epidemiche tali da compromettere la sicurezza degli scambi tra le nazioni, è considerata una delle malattie transfrontaliere più importanti.
STORIA
Venne descritta per la prima volta in Kenya nel 1921, rimanendo confinata in Africa fin verso la fine dagli anni 50 quando iniziarono a verificarsi eventi epidemici anche al di fuori del continente africano: nel 1957 la malattia venne segnalata a Lisbona in Portogallo, alla quale fece seguito una seconda epidemia sempre in Portogallo nel 1959 che ne permise la diffusione in tutta la penisola iberica per poi raggiungere molti altri paesi europei tra cui Francia, Italia, Belgio e Paesi Bassi. Nel 2007 sono stati registrati i primi focolai in Russia e in diverse zone del Caucaso. Benchè questa malattia non sia stata per molti anni di preoccupazione nel continente Europeo, è tornata fonte di interesse nel 2018 quando è iniziato un importante focolaio nella Repubblica popolare Cinese, spostandosi gradualmente fino all’Est europa, con focolai anche in stati come Germania, Belgio e Polonia. In Italia è presente in Sardegna dal 1978 e recentemente (Gennaio 2022) ne è stata riscontrata la presenza in alcuni comuni tra le regioni di Piemonte e Liguria. (fig.1)

Figura 1. Area infetta (in rosso) e area di sorveglianza (in giallo) aggiornata al 27 Gennaio 2022 (dal web)
EZIOLOGIA
Unico membro della famiglia Asfaviridae, è un virus a DNA e se ne conoscono 22 genotipi diversi; è in grado di replicare all’interno di uno specifico vettore invertebrato: le zecche appartenenti alla famiglia Ornithodoros, che risultano un passaggio chiave per la sua diffusione. Dotato di una notevole resistenza ambientale, resta vitale nelle feci per almeno 11 giorni e nel midollo osseo per mesi; nel siero conservato a temperatura ambiente può sopravvivere per 18 mesi, nel sangue a 37 gradi per un mese mentre in quello refrigerato fino sei anni. Anche nelle carcasse e nei prodotti a base di carne suina rimane infettante per molto tempo: nelle carni refrigerate può sopravvivere per almeno 15 settimane mentre nei prosciutti e nei lavorati da 3 a 6 mesi. Infine è dotato di un’elevata tolleranza ad un’ampia gamma di disinfettanti e solo quelli dotati anche di azione detergente sono efficaci.
EPIDEMIOLOGIA
È una malattia propria dei suidi e sia i suini domestici che i cinghiali sono molto sensibili all’infezione indipendentemente dall’età, e il tasso di mortalità è molto elevato per entrambe le categorie. Risultano suscettibili all’infezione pure tutti i suidi selvatici africani (in particolare il facocero), però a differenza dei loro simili domestici e dei cinghiali, non sviluppano la malattia clinica. In Africa il principale metodo di trasmissione è il “ciclo silvestre”, tramite le zecche Ornithodoros, mentre al di fuori del continente africano, la trasmissione si verifica prevalentemente per contatto diretto, generalmente per via oro-nasale o aerosol, ma solo per distanze molto brevi. Il virus è trasmesso anche per via indiretta, la quale può avvenire attraverso la somministrazione di avanzi di carne o residui di cucina infetti, oppure tramite oggetti o veicoli da trasporto contaminati. Un ruolo epidemiologico importante viene ricoperto dagli animali portatori: trattasi di soggetti che, una volta contratta l’infezione sopravvivono ma che comunque continuano ad albergare il virus (la replicazione virale continua anche in presenza di anticorpi). Durante il susseguirsi degli anni le modificazioni della virulenza subite dal virus hanno contribuito ad un incremento delle forme subacute e croniche a ridotta mortalità con conseguente aumento di soggetti portatori in ambiente silvestre, i quali sono responsabili della diffusione del virus per lunghi periodi e lunghe distanze (pericolo transfrontaliero). (fig.2)

Figura 2. Epidemiologia della PSA
PATOGENESI ED IMMUNITÀ
Quando l’infezione viene contratta per via oro-nasale le tonsille e i linfonodi mandibolari costituiscono il primo sito di replicazione virale. Successivamente il virus entra nel torrente ematico, dove in pochi giorni raggiunge titoli elevati replicando attivamente sia nei monociti che nei polimorfonucleati. Tramite il sangue perviene poi a tutti gli organi e tessuti a partire dal midollo osseo, milza e linfonodi. Gli anticorpi sono rilevabili nel siero 7-12 giorni dopo la comparsa dei segni clinici e persistono per lunghi periodi. Le Scrofe sieropositive trasmettono anticorpi al suinetto tramite il colostro.
SINTOMATOLOGIA
Con un periodo di incubazione compreso tra i 4 e i 9 giorni, la PSA si manifesta come una malattia febbrile della quale sono possibili forme diverse: iperacuta, acuta, subacuta e cronica, anche se in alcuni casi può decorrere in forma totalmente asintomatica. Nella forma iperacuta, generalmente i soggetti sono trovati morti senza segni premonitori. Nel decorso acuto la mortalità si avvicina al 100% ed è caratterizzato da febbre elevata e persistente (fino a 42 C°), gli animali perdono l’appetito, diventano apatici, sono riluttanti al muoversi e a causa della debolezza del treno posteriore compare atassia locomotoria. Sulla cute possono manifestarsi emorragie puntiformi più o meno estese ed alterazioni cianotiche su orecchie, arti e addome. Può essere evidenziata una secrezione oculo-nasale mucopurulenta, mentre la respirazione risulta difficoltosa e talvolta accompagnata da schiuma striata di sangue a bocca e narici, indicativa di edema polmonare che spesso rappresenta la principale causa della morte. Un sintomo abbastanza comune è il vomito, mentre può comparire sia stipsi con feci dure e ricoperte di sangue e muco, come pure diarrea sanguinolenta. In qualsiasi fase della gravidanza possono verificarsi aborti. La sintomatologia è in genere di breve durata, circa 2-7 giorni, ma il decorso può protrarsi per più tempo e dopo un apparente recupero l’animale può essere soggetto ad una ricaduta che termina con la morte. La forma subacuta si riscontra nei suini che sopravvivono più a lungo, in genere a seguito di un’infezione causata da ceppi meno virulenti. Gli animali presentano febbre intermittente, in genere accompagnata da polmonite interstiziale con conseguenti difficoltà respiratorie e tosse grassa; non sono da sottovalutare possibili infezioni batteriche secondarie che possono aggravare il quadro respiratorio. A questo punto la malattia presenta 2 possibili decorsi: può portare a morte gli animali dopo un periodo variabile di settimane o addirittura mesi, oppure i suini diventano convalescenti e arrivati a questo punto o guariscono o passano alla forma cronica della malattia. Infine nel decorso cronico, il quadro clinico è caratterizzato da sintomi aspecifici e, talvolta, il dimagramento è l’unico segno rilevabile.
LESIONI
Nei suini che muoiono a causa di forme iperacute l’unica lesione macroscopica apprezzabile è un lieve accumulo di liquido nelle cavità. Nella forma acuta le estremità e la superficie ventrale dell’animale possono essere cianotiche mentre il sottocute può presentarsi emorragico; organi e mucose risultano spesso congesti con presenza di emorragie puntiformi al livello di polmoni, reni, milza, cuore e sierosa gastrointestinale e i linfonodi si presentano talmente emorragici ed aumentati di volume da assomigliare a coaguli di sangue (fig. 3 e fig. 4). La trachea spesso è piena di schiuma striata di sangue e i polmoni sono ingrossati a causa dell’accumulo di liquido, con i setti interlobulari più evidenti (fig.5). La carcassa può contenere sangue fluido non coagulato nelle diverse cavità. Le forme sub-acute e croniche sono principalmente caratterizzate da cachessia e polmonite interstiziale.

Figura 3. Rene di suino affetto da PSA (dal web)

Figura 4. Linfonodo fortemente ingrossato ed emorragico (dal web)

Figura 5. Polmoni con schiuma sanguinolenta (dal web)
DIAGNOSI
Sia i segni clinici che le lesioni non sono patognomonici, ma una mortalità insolitamente alta e la mancata risposta ai trattamenti antibiotici dovrebbe portare ad un forte di sospetto di peste suina africana e la conferma da parte di un laboratorio diventa essenziale. La diagnosi si basa essenzialmente sull’individuazione del virus piuttosto che degli anticorpi, perché la maggior parte dei suini muore prima che vengano prodotti.
PREVENZIONE E CONTROLLO
Il carattere transfrontaliero di questa malattia e le conseguenti problematiche che un focolaio può causare, comporta un focus particolare sulla sorveglianza e sulle movimentazioni di animali. Tutti i paesi dovrebbero dedicare un adeguato livello di risorse per garantire l’attuazione di politiche efficaci nel prevenire l’introduzione delle malattie più importanti del bestiame, sulla base dei moderni strumenti di analisi del rischio, concentrandosi soprattutto sulla biosicurezza esterna per ridurre al minimo il rischio di contatto tra selvatici ed animali presenti in allevamento. Allo stato attuale non esistono vaccini o terapie per affrontare la PSA e l’unica opzione disponibile per l’eradicazione è lo stamping out, cioè l’abbattimento di tutti i suini infetti e potenzialmente tali in situ.