Il calcolo del bilancio dell’azoto in un’App

Il calcolo del bilancio dell’azoto in un’App

di Andrea Bertolini*, Laura Valli e Valeria Musi**

Il Progetto “Low EmiSSion farming”, coordinato da PROMOCOP Lombardia coinvolge in qualità di Partner Fondazione CRPA Studi Ricerche, che si avvale della collaborazione delle aziende COMAZOO, Azienda Canobbio e Agricola Barozzi. Si tratta di un progetto di informazione e dimostrazione per la diffusione di buone pratiche di produzione che siano in grado di ridurre le emissioni di gas a effetto serra e ammoniaca dagli allevamenti di bovine da latte e suini della Lombardia. Questo per creare una sensibilizzazione sul tema e nel breve periodo per favorire un’applicazione delle normative vigenti che forniscono già indirizzi tecnici in tal senso, ma di cui i produttori sono in genere poco informati e/o di cui non sono ben conosciute le implicazioni tecniche ed operative (per esempio investimenti necessari, costi di esercizio, efficacia, ecc.).

Le emissioni in atmosfera di gas a effetto serra (GHG) e di ammoniaca derivano dalle diverse attività umane, comprese quelle agricole e di allevamento. Le produzioni zootecniche generano ed immettono nell’ambiente composti azotati derivati dagli effluenti (nitrati, potenziali inquinanti delle acque superficiali e profonde; ossidi dell’azoto tra cui l’N2O, potente gas a effetto serra) e metano, GHG prodotto dalle fermentazioni enteriche e dagli effluenti. Soprattutto all’azoto sono imputati effetti negativi sull’ambiente in quanto è la fonte primaria di ammoniaca che a livello atmosferico può essere precursore delle polveri sottili e può determinare fenomeni di acidificazione ed eutrofizzazione dei suoli. In base ai dati ISPRA 2021, il settore agricolo italiano rappresenta solo il 7% circa delle emissioni nazionali di gas serra, mentre è responsabile del 95% delle emissioni nazionali di ammoniaca.

Al fine di raggiungere un generale miglioramento della qualità dell’aria e diminuire l’impatto sulla salute di circa il 50%, l’Unione Europea nel 2016 ha emanato la direttiva UE n. 2016/2284, cd. Direttiva NEC (National Emission Ceiling), concernente la riduzione delle emissioni nazionali di determinati inquinanti atmosferici. Con riferimento all’ammoniaca, per l’Italia la Direttiva definisce la diminuzione delle emissioni totali del 5% rispetto ai valori del 2005, dal 2020 al 2029, e del 16% entro il 2030 e da mantenere negli anni a venire. Allo scopo di contenere il più possibile le emissioni inquinanti, derivanti dagli allevamenti zootecnici possono essere impiegate una serie di tecniche specifiche per prevenire la perdita di nutrienti durante la gestione e l’utilizzazione agronomica degli effluenti, come la frequente rimozione delle deiezioni dalle stalle, la copertura degli stoccaggi, l’interramento degli effluenti nello spandimento.

Queste tecniche sono ancora oggi considerate come le “Best Available Techniques” (BAT) nelle normative UE (Decisione di Esecuzione (EU) 2017/302) per ridurre le emissioni di ammoniaca in quanto soddisfano le condizioni della definizione di BAT, ovvero misure efficaci, praticamente applicabili ed economicamente sostenibili. Ma soprattutto da diversi anni le normative riconoscono che la razionalizzazione della nutrizione azotata in allevamento conduce alla riduzione delle escrezioni di azoto alla fonte, cioè ne diminuisce la concentrazione negli effluenti. Infatti sono considerate BAT anche una serie di tecniche nutrizionali che consentono di diminuire l’azoto escreto e che a differenza di altri interventi non richiedono investimenti in strutture e attrezzature. Il bilancio dell’azoto – Ogni azienda agricola costituisce un’unità di “scambio” di azoto con l’ambiente: essa importa azoto dall’esterno, in particolare sotto forma di mangimi, foraggi e fertilizzanti, e ne esporta, sotto forma di prodotti agricoli venduti. L’azoto che esce con le produzioni è una quota inferiore di quello che entra con i mezzi di produzione.

La differenza fra “ingresso e uscita” rappresenta la quota di azoto “improduttiva”, cioè non trasformata in prodotto e che l’azienda deve gestire come surplus. Questa viene determinata attraverso un bilancio vero e proprio che analizza i flussi di azoto all’interno dell’azienda e permette di valutare quali siano le voci ed i passaggi che incidono maggiormente sul bilancio dell’elemento e quali processi risultino meno efficienti. Per mettere le aziende suinicole in grado di realizzare un bilancio dell’azoto impiegato nella produzione animale, è stata sviluppata un’applicazione che consente di calcolare la quota di surplus di azoto che resta da gestire in azienda come escrezioni (urine e feci) e che generano gli effluenti, e quindi anche la resa dell’azoto dietetico in prodotto zootecnico in base alle caratteristiche dei mangimi somministrati.

L’applicazione è stata realizzata nell’ambito del progetto dimostrativo “Produzioni zootecniche lombarde a basse emissioni, eco compatibili e resilienti – Low EmiSSion farming”. Il progetto, finanziato dal PSR 2014- 2020 Regione Lombardia. Misura 1 – “Trasferimento di conoscenze e azioni di informazione” Sottomisura 1.2 – “Sostegno a attività dimostrative e azioni di informazione” Operazione 1.2.01 “Progetti dimostrativi e azioni di informazione” realizzato da Promocoop Lombardia e Fondazione CRPA Studi Ricerche, è finalizzato alla diffusione delle buone pratiche di produzione in grado di ridurre le emissioni di gas a effetto serra e ammoniaca dagli allevamenti di bovine da latte e suini della Lombardia.

Questo applicativo permette agli utenti di gestire i bilanci dell’azoto e di valutare la performance ambientale degli allevamenti in forma semplice e veloce. Il calcolo quantifica il surplus di azoto (N escreto) come differenza fra input e output, secondo la seguente equazione: N escreto = N nel mangime utilizzato – N animali in uscita (venduti e morti) + N animali in entrata – (N inventario finale degli animali – N inventario iniziale degli animali) Il calcolo del bilancio può essere riferito ad un ciclo di allevamento o ad un anno solare. L’input dei dati (questionario) è strutturato in 3 schermate principali:

1. Azienda – informazioni sull’azienda;
2. Giacenze – Informazione sulle giacenze di animali, materie e mangimi;
3. Movimenti – Informazione sui movimenti di animali, materie e mangimi.

L’utilizzo dell’applicativo è gratuito ed è indirizzato a tecnici, allevatori, ricercatori, studenti, e a chiunque sia interessato al tema del bilancio dell’azoto. Per ogni azienda e per ogni annata l’utente può compilare il bilancio dell’azoto: i dati inseriti rimangono privati e solo l’utente ha la possibilità di accedervi. Molto semplice ed intuitivo, il tool prevede maschere per individuare ed inserire gli elementi del bilancio (input ed output) e restituisce una schermata riassuntiva di bilancio e di resa dell’azoto.

Il bilancio si completa in circa 10 minuti di compilazione e tra gli output i risultati significativi sono: azoto escreto (kg N per il periodo di riferimento, per esempio ciclo di ingrasso o anno solare) e resa dell’azoto della proteina della razione in peso vivo (%). Questi due indicatori, rispondendo alle pratiche che il conduttore può attivare in azienda relativamente alla scelta della razione, possono servire a rendere ancor più consapevoli gli operatori aziendali, stimolandoli al perseguimento di azioni che riducono gli impatti ambientali delle loro attività.

* Fondazione CRPA Studi Ricerche
** CRPA SCpA

+111% di costi negli allevamenti di bovini da latte

+111% di costi negli allevamenti di bovini da latte

di Paolo Malizia e Sonia Rumi

Il CREA, Consiglio per la Ricerca in Agricoltura e l’Analisi dell’Economia Agraria, ha prodotto un report, il terzo nel 2022, che fornisce una analisi ufficiale dell’impatto della crisi energetica sui bilanci delle aziende di bovine da latte e sui costi di produzione del latte.

Il rapporto del CREA, pubblicato lo scorso settembre, scaturisce dallo studio dei dati RICA, Rete di Informazione Contabile Agricola, emanazione del CREA stesso e documenta le difficoltà di una agricoltura che affronta una crisi senza precedenti dovuta agli effetti della guerra e aggravata dall’emergenza idrica. L’obiettivo del documento è quantificare gli effetti determinati dall’aumento di alcuni costi di produzione sui risultati economici delle aziende zootecniche, in particolare quelle da latte, uno dei settori più colpiti dall’impennata dei costi. Si sono analizzate 8 voci di costo per gli ultimi 5 anni disponibili, 2016- 2020, su un campione di oltre 2000 aziende. Le voci di costo comprendono sementi, fertilizzanti, fitosanitari, mangimi, foraggi e lettiere, gasolio, energia elettrica e noleggi passivi.

Il dato principale evidenziato dalla Tabella 1 è che nel primo semestre 2022, rispetto ai valori di riferimento del quinquennio 2016-2020, si è avuto, nelle stalle di vacche da latte, un aumento di costo medio di produzione di oltre 90.000 euro con una variazione in percentuale superiore al 110%. I valori di incremento in senso assoluto di mangimi ed energia elettrica raggiungono rispettivamente i 34.000 (+95%) e oltre 35.000 € (+1.100%) per azienda.

Se analizziamo nella Figura 1 la composizione dei costi correnti nella situazione di partenza (quinquennio 2016-2020) la componente che pesa percentualmente di più (45% dei costi correnti) è quella dei mangimi, seguita da foraggi e lettiere (8,3% dei costi correnti). In seguito all’aumento dei costi delle materie prime cambia non solo il valore assoluto dei costi correnti aziendali, ma anche la composizione tra le diverse componenti con una predominanza del valore percentuale di costo per l’elettricità che passa al 5,2% al 23,4% dei costi totali.

Un dato importante che si evince dalla Figura 2 è che la dimensione aziendale influisce direttamente sul contenimento dei costi correnti poiché le aziende di dimensioni maggiori hanno incrementi percentuali dei costi leggermente inferiori a quelli di aziende di minor dimensione; la motivazione potrebbe essere legata alla capacità di applicare, nelle grandi aziende, economie di scala capaci di contenere l’aumento dei costi correnti. L’area geografica su cui insistono la maggior parte delle nostre aziende socie, caratterizzate da una dimensione aziendale medio – grande o grande, manifesta un incremento dei costi, in termini assoluti, più elevato (oltre 138.000€ per azienda), ma in termini percentuali un incremento lievemente più basso rispetto ad altre aree d’Italia (106,2%). La seconda parte del rapporto analizza gli effetti degli aumenti dei costi energetici e delle materie prime per litro di latte prodotto. Nella situazione di base 2016-2020 il costo operativo per la produzione di un litro di latte, in valore assoluto, è pari a 30 centesimi/litro; nel primo semestre 2022 tale costo viene collocato a 54 centesimi/ litro, con un incremento percentuale dell’82% e quindi con un costo aggiuntivo di 24 centesimi/litro. Assumendo come prezzo di riferimento i valori CLAL del quinquennio 2016- 2020, valore medio 36,5 centesimi/ litro e per il primo semestre 2022 47,1 centesimi litro si evidenzia un peggioramento del quadro economico, infatti, se nella situazione di base (2016- 2020) il prezzo del latte è risultato essere superiore al livello dei costi di produzione, nella condizione attuale il prezzo appare insufficiente a coprire i costi cresciuti enormemente a seguito della crisi energetica.

Tali dati sono evidenziati nella Figura 3. Risulta chiaro, di fronte a questi dati, che la capacità di resilienza delle nostre aziende zootecniche da latte è messo a dura prova da questa congiuntura economica sfavorevole. Le conclusioni del rapporto sono che una azienda su quattro potrebbe non riuscire a coprire i costi correnti con il forte rischio di dover chiudere l’attività. È altresì vero che la dimensione aziendale, sia economica che rapportata al numero di vacche allevate, delle nostre aziende socie, la collocazione territoriale e la destinazione produttiva del latte, con una trasformazione e una valorizzazione superiore rispetto al prezzo sul quale sono basate le analisi del CREA, possono mitigare una situazione di chiara difficoltà. Non bisogna, però. dimenticare che le aziende di medio – piccole dimensioni, più penalizzate, sono una componente importante di tutela del territorio, generano un indotto significativo in aree marginali e spesso producono prodotti DOP minori ma fortemente legati e valorizzanti il territorio. In questo, la Cooperativa, garantendo un trattamento paritario dei propri Soci indipendentemente dalle dimensioni aziendali, può essere di aiuto.

La funzione delle corna

La funzione delle corna

di Sujen Santini

La decornazione, soprattutto negli allevamenti da latte, è da tempo pratica routinaria finalizzata alla sicurezza degli operatori e degli stessi bovini che, negli spazi previsti di stabulazione, andrebbero inevitabilmente incontro a ferite e traumi poichè le distanze di fuga risultano inadeguate. Abituati a vedere e gestire animali senza corna probabilmente ci si interroga poco sulla loro valenza riferendola erroneamente a un’arma di difesa: essendo la vacca un animale predato, le corna non hanno una funzione «arma» tra conspecifici, poiché è controproducente per la sopravvivenza della specie procurarsi lesioni che possono rendere più vulnerabili ai predatori. Le corna per un bovino rappresentano quindi molto altro: uno strumento funzionale alla comunicazione e un “organo” che interviene nei processi metabolici, respiratori e termoregolatori. Osservandoli, possiamo infatti facilmente notare che i bovini che vivono in regioni più fresche tendono ad avere corna più piccole; la struttura del loro corpo è più compatta e le zampe anteriori portano il peso maggiore. Al contrario, i bovini delle regioni più calde hanno corna più grandi e un corpo più snello e meno appesantito verso la parte anteriore. Ancora, gli animali che vivono in condizioni ambientali dove l’alimentazione è più scarsa hanno corna più grandi, mentre quelli che vivono dove la vegetazione è più lussureggiante tendono ad avere corna più piccole.

La natura degli animali con le corna
Gli animali con le corna si trovano alla fine di una lunga linea di sviluppo evolutivo iniziata milioni di anni fa e possiedono diverse caratteristiche uniche, riferite principalmente ad un sistema metabolico differenziato. I ruminanti hanno bisogno di meno energia di qualsiasi altro animale per demolire e trasformare la fibra vegetale: è difficile replicarlo in modo più efficiente utilizzando la tecnologia. Si trovano, dal punto di vista evolutivo, al polo opposto rispetto ai roditori per i quali l’attività nervoso-sensoriale è invece il punto di forza; i carnivori si trovano nel mezzo, condividendo entrambe le qualità, ma in misura minore.

Strumento di comunicazione
Dal punto di vista morfologico si può trovare una chiara correlazione tra la forma del corpo e quella delle corna. Il corpo e le corna sembrano compensarsi a vicenda: più sottile è il corpo più grande è il corno; più il corpo è tozzo e più piccolo è il corno. Le corna permettono ai bovini di apparire più slanciati rispetto alla loro compattezza corporea; la sagoma della vacca acquista carattere grazie alle corna. Ogni animale è ben consapevole delle dimensioni e della forma delle sue corna e del punto in cui terminano, ciò gli dà la capacità di gestire movimento all’interno dello spazio della mandria. Studi osservazionali condotti su gruppi di vacche in lattazione, hanno rilevato una grande comunità integrata che comprende la maggior parte dei singoli individui, ma con molte relazioni non casuali dove quelle di attaccamento prevalgono su quelle agonistiche, basate principalmente dalla loro esperienza insieme. Le gerarchie di dominanza possono, probabilmente, essere viste come un livello di complessità sociale di ordine superiore al di là delle dimensioni del gruppo e servono a ridurre i conflitti di gruppo relativi all’appropriazione delle risorse. La gerarchia si manifesta nel comportamento dominante degli animali di alto rango e nel comportamento evasivo di quelli di basso rango. Una posizione che tuttavia deve essere continuamente riaffermata, soprattutto in allevamento dove lo spostamento di gruppo è pratica frequente. Nelle lotte per stabilire la gerarchia, le corna vengono utilizzate per trattenere o deviare un attacco, per bloccare insieme le teste evitando che scivolino via e per consentire una prova di forza testa a testa. Gli animali senza corna non possono condurre la loro lotta in modo specie specifico, non sono in grado di spingere l’uno contro l’altro; scivolano via e devono affrontarsi di lato.

La quantità di spazio necessario per ogni animale è quindi fortemente influenzata dal fatto che abbia o meno le corna. Tra i bovini con le corna, la distanza richiesta tra gli animali più in alto nella gerarchia e quelli più in basso varia da uno a tre metri. Gli animali senza corna, al contrario, hanno bisogno di un metro al massimo. Questo spazio, che circonda ogni animale come una bolla invisibile, è conosciuto come «distanza individuale». L’invasione di questo spazio condurrà gli animali più in basso nella gerarchia a fuggire o disinnescare un confronto. Questo comportamento naturale può però essere ostacolato quando manca un sufficiente “spazio di fuga”, situazione comune negli allevamenti a stabulazione libera. In questo caso le lotte e gli scontri possono essere abbastanza frequenti: anche tra le vacche decornate possono verificarsi frequenti lesioni causate dalle testate, anche se meno visibili all’esterno. Le vacche con le loro corna mostrano un comportamento di cura piuttosto specifico usandole, ad esempio, per grattarsi la schiena. O quando usano la punta del corno di un’altra vacca per grattarsi e pulirsi gli occhi. Infine, anche gli animali adulti si divertono a incrociare le corna in modo amichevole e giocoso o a grattarsi reciprocamente con esse.

Altre funzioni delle corna
Anche se tutti i mammiferi possiedono gli stessi organi di base, vi è una grande variazione nel grado di sviluppo. Un organo può svilupparsi notevolmente a spese di un altro: è solo nei ruminanti che i denti canini e incisivi vengono rimpiazzati da una placca dentale cornea nella mascella superiore. Lo sviluppo di corna sembra sempre avvenire a spese dei denti. La prima assunzione di cibo attraverso la bocca di un ruminante è relativamente poco importante; il vero lavoro viene svolto nel rumine e dai grandi molari durante la ruminazione.

A partire da circa 12 mesi di età, le cavità dei seni paranasali iniziano a svilupparsi nel cranio del vitello e sono collegate direttamente o indirettamente alla cavità nasale e sono ricoperte dalla stessa mucosa. Il senso dell’olfatto, tuttavia, si trova solo nella parte posteriore superiore della cavità nasale. Più l’animale invecchia, più i seni raggiungono i nuclei ossei del corno, rendendoli sempre più cavi. Nella vacca adulta le cavità sinusali occupano l’intero spazio tra la volta del cranio e la capsula cerebrale dividendolo in vari comparti. L’osso cavo del corno è l’unico osso a crescita continua nella vacca e il corno cresce attorno ad esso.

Il nucleo osseo è la parte più interna del corno. È costituito da materiale osseo, saldamente fissato all’osso frontale del cranio. All’interno del nucleo osseo vi è una rete di cavità sinusali areate. Con l’avanzare dell’età si estendono quasi fino all’estremità del nucleo osseo e sono rivestite da un sottile strato di mucosa. L’aria scorre attraverso queste cavità ad ogni aspirazione nasale. Poiché il respiro di una vacca viene sempre mescolato con i gas che fuoriescono dal rumine (la vacca erutta una o due volte al minuto), l’odore emanato dal rumine raggiunge la cavità del nucleo osseo. Questo odore può essere avvertito quando un corno viene amputato o se una vacca ha una lesione aperta all’osso del corno. Grazie all’eruttazione, i gas che si sprigionano durante la fermentazione del cibo nel rumine vengono immessi nella circolazione respiratoria, questi gas salgono attraversando il sistema dei sei seni nasali e frontali fino alle corna e oltrepassano probabilmente la barriera gas-sangue attraverso le mucose di queste cavità. Il naso e la bocca sono due aperture attraverso le quali la vacca entra in contatto con il mondo esterno. Ogni inspirazione porta aria esterna nel naso. La sua membrana mucosa la riscalda e la inumidisce. Il particolato si raccoglie sulle superfici umide e viene successivamente espulso. Gli ampi seni paranasali della vacca aumentano la superficie della mucosa e, estendendosi fino al nucleo osseo del corno, costituiscono una parte significativa della difesa immunitaria del sistema respiratorio. L’aria inspirata dai seni paranasali arriva direttamente nei polmoni, abbassando contemporaneamente la pressione nei seni stessi. Al contrario, l’aria in uscita dai polmoni passa attraverso il naso insieme ai gas, provenienti dal rumine, che fuoriescono dalla gola; così facendo entra nel sistema sinusale e ne aumenta la pressione. Inspirando ed espirando l’aria passa sulla mucosa nasale dove si trovano i recettori olfattivi. È qui che si percepiscono gli odori interni ed esterni. Queste dinamiche spiegano inoltre il coinvolgimento delle corna nei sistemi di termoregolazione.

La rimozione della struttura del corno ha una notevole influenza sulla forma del cranio in via di sviluppo. Una volta raggiunta l’età adulta, la maggior parte degli animali decornati avrà sviluppato un marcato rigonfiamento sulla fronte. Se guardiamo l’interno di un cranio troviamo che questo rigonfiamento – come il nucleo osseo del corno – è pieno di cavità aeree. Gli animali probabilmente hanno bisogno di un certo volume di cavità sinusali e devono compensare la mancanza di corna sviluppando questa protuberanza ossea. L’esame di numerosi crani di vacche dopo la macellazione ha rivelato che un’alta percentuale degli animali decornati ha le ossa frontali con forma più concava e una distanza minore tra gli occhi: tendono quindi ad avere una visione maggiormente protratta in avanti e un angolo cieco un po’ più ampio verso la parte posteriore rispetto alle vacche con corna.

Il fatto che l’organismo animale reagisca alla rimozione dell’abozzo corneale, e quindi delle corna, compensando con un cambiamento nello sviluppo delle ossa frontali cranio, conferma l’importanza funzionale delle loro corna. Questa considerazione, aggiunta all’evidenza che il corno è un organo “vivo” e quindi sensibile al dolore impone una maggior consapevolezza nella pratica di decornazione, qualora non si scelga per il proprio allevamento l’uso di tori riproduttori portatori del gene polled (acorne).

La rimozione delle corna
La decornazione è definita come mutilazione, ovvero una pratica non effettuata per fini terapeutici o diagnostici, che si manifesta quale danno o perdita di una parte sensibile del corpo o quale alterazione della struttura dell’osso. Come si legge nel CE draft 8/09 articolo 22, punti 1, 2 e 3, “le mutilazioni nei bovini dovrebbero essere generalmente proibite; dovrebbero essere messe in atto delle misure per evitare tali pratiche, come ad esempio la selezione di idonee razze bovine. L’autorità competente può derogare a questo divieto generale solo relativamente alle seguenti mutilazioni: a) distruzione o rimozione degli abbozzi corneali per evitare la decornazione; b) decornazione, solo se necessaria per evitare problemi di benessere e se eseguita mediante rimozione chirurgica delle corna; Tutte le procedure dovrebbero essere eseguite sugli animali in modo da evitare dolore e disagio inutili e prolungati, eseguite da un veterinario o da altra persona competente ed istruita allo scopo ed essere condotte sotto anestesia e seguite da idonea analgesia[…]”. Queste indicazioni sono in linea con quanto raccomanda anche EFSA. “La decornazione delle manze e delle vacche dovrebbe essere evitata, per quanto possibile, ed eseguita solamente con l’utilizzo di anestesia ed analgesia locale. Se è necessario privare le bovine delle corna, dovrebbe essere eseguita la degemmazione, ovvero la rimozione degli abbozzi corneali, quando gli animali sono ancora vitelli, ma si dovrebbero utilizzare metodi di anestesia e analgesia.” (EFSA, 2012b – Raccomandazione 106). “Il termocauterio dovrebbe essere preferito all’uso di sostanze caustiche. Se si utilizza una pasta caustica bisogna prestare attenzione che non coli sulla faccia o che non sia leccata da altri animali.” (EFSA 2012c; 10(5):2669; 3.5.1. Mutilations; Raccomandazione 4). Anche l’OIE si è espresso in proposito: “Procedure potenzialmente in grado di causare dolore sono routinariamente praticate sui bovini per ragioni di efficienza produttiva, salute e benessere dell’animale e sicurezza per gli addetti. Queste procedure dovrebbero essere svolte in modo da minimizzare dolore e stress per l’animale. Queste procedure dovrebbero essere effettuate il più precocemente possibile rispetto all’età dell’animale o usando anestesia o analgesia secondo le raccomandazioni e sotto la supervisione di un veterinario […] Esempi di queste procedure includono: castrazione, decornazione, ovariectomia (sterilizzazione), taglio della coda, identificazione.” (OIE 2014 – Terrestrial Animal Health Code – Versione 7 – Capitolo 7.9. “Animal welfare and beef cattle production systems”). Oltre a queste raccomandazioni esiste una normativa ben specifica, ovvero il D. Lgs. 146/2001 allegato, che al punto 19 prevede che “la cauterizzazione dell’abbozzo corneale è ammessa al di sotto delle tre settimane di vita, riducendo al minimo ogni sofferenza per gli animali, ed effettuata sotto il controllo del medico veterinario dell’azienda”. Oltre alle modalità anche la tempistica quindi è particolarmente importante.

Infatti, come indicato dall’OIE “I bovini dovrebbero essere decornati mentre lo sviluppo delle corna è ancora a livello di abbozzo, o alla prima opportunità disponibile dopo questa età. In questo modo la procedura sarà meno traumatica, dal momento che quando lo sviluppo delle corna è ancora in fase di abbozzo, non vi è ancora l’attacco del corno al cranio dell’animale. Metodi di decornazione, quando lo sviluppo delle corna è già cominciato, coinvolgono la rimozione delle corna mediante taglio alla base delle corna vicino al cranio. Gli allevatori dovrebbero rivolgersi ad un veterinario per conoscere i metodi di analgesia e anestesia disponibili e consigliati, gli operatori che svolgono la decornazione dovrebbero essere formati e competenti ed essere capaci di riconoscere eventuali segni di complicazioni.” (OIE 2014 – Terrestrial Animal Health Code – Versione 7 – Capitolo 7.9. “Animal welfare and beef cattle production systems”). Traducendo in pratica quanto detto sopra, ricordiamo che se la decornazione viene effettuata dall’allevatore, i vitelli devono essere decornati tra la 2^ e la 6^ settimana di vita secondo la legge sul benessere degli animali. Se i vitelli hanno già più di 6 settimane, la procedura può essere effettuata solo da un veterinario professionista.

LA DECORNAZIONE In particolare, secondo quanto prevede il sistema Classyfarm. “La decornazione prevede un protocollo che coinvolge obbligatoriamente il medico veterinario. Per facilitare il maneggiamento dell’animale è opportuno procedere a sedazione (es. xylazine). Mentre per ridurre il dolore e l’infiammazione sono necessari l’utilizzo di anestesia locale (blocco del nervo cornuale con es. procaina o lidocaina, 10 minuti prima dell’intervento) e di analgesia con l’utilizzo di antinfiammatori non steroidei (FANS) somministrati per via parenterale (es. flunixin meglumine, ketoprofene e meloxicam). L’analgesia dovrebbe essere condotta sia prima dell’intervento sia fino a qualche giorno dopo. Come buona regola, tutti i trattamenti, che prevedono operazioni cruente, devono essere eseguiti con materiali sterili o a perdere ed espletati in modo da evitare all’animale dolore o sofferenza prolungata o non necessaria.
LA DEGEMMAZIONE La degemmazione, pratica come detto da preferire, deve essere eseguita il più precocemente possibile, cioè appena la gemma cornuale è facilmente visibile e palpabile, cosa che normalmente avviene dalla seconda settimana di vita. Il vantaggio di eseguire la degemmazione precocemente è che la ferita formatasi è più piccola e si cicatrizza quindi più rapidamente. Inoltre, poiché tale pratica non prevede la somministrazione di antibiotici, gli animali sono protetti meglio dalle infezioni grazie agli anticorpi materni presenti nel colostro. La rimozione strato di cute che dà origine al corno molle alla base del corno stesso dello deve essere completa, in modo da evitare lo sviluppo di un corno deforme. La pratica più sicura e meno cruenta è l’utilizzo di apposita pomata a 7-10 giorni di vita, da preferire rispetto ad altre metodiche quali cauterizzazione o utilizzo di sostanze caustiche. Soprattutto queste ultime sono maggiormente a rischio di provocare effetti collateriali, poiché un eccesso di prodotto può causare estese causticazioni della testa e degli occhi; nonché causticazioni della bocca e della lingua per contatto reciproco qualora la pratica non sia eseguita su vitelli alloggiati singolarmente. Qualsiasi sia la pratica scelta rimane senza dubbio un’esperienza dolorosa per il vitello, sia durante l’esecuzione che nei giorni successivi. Occorre quindi prestare particolare attenzione ad evitare di suscitare negli animali reazioni di stress e paura, che acuiscono la loro percezione del dolore, inoltre un’anestesia praticata correttamente elimina la percezione del dolore durante l’intervento e l’analgesia riduce il dolore nella fase che segue l’intervento. L’anestesia pre-decornazione consiste nel blocco del nervo cornuale iniettando 10 minuti prima dell’intervento 1-2 ml di procaina nel tessuto della fossa temporale sotto la cresta frontale alla base della gemma cornuale.
Nuovi requisiti per la biosicurezza suina

Nuovi requisiti per la biosicurezza suina

di Daniele Maspes

Tra le misure per fronteggiare l’emergenza della PSA, il Decreto-legge del 17 febbraio 2022 aveva previsto la definizione di nuovi requisiti di biosicurezza per gli allevamenti suinicoli. Il 26 luglio 2022 è stato poi pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 173 il nuovo Decreto. Di questo e di molto altro si è parlato in Comazoo, che ha organizzato un incontro formativo e divulgativo in collaborazione con Wisium, coinvolgendo un gran numero di allevatori di suini soci e non della cooperativa. I relatori dell’incontro sono stati il dr. Enrico Giacomini del gruppo Team Vet, noto veterinario libero professionista specialista in suinicoltura ed il dr. Ludovico Renda, veterinario collaboratore di Wisium. A sorpresa, abbiamo avuto anche la presenza del dr. Giovanni Loris Alborali, veterinario Dirigente della Sezione di Diagnostica dell’Istituto Zooprofilattico di Brescia, la cui partecipazione ha aumentato l’importanza dell’evento in oggetto, contribuendo ad implementare l’ufficialità dell’incontro.

Il dr. Giacomini si è preso cura di presentare e spigare alla folta platea il nuovo Decreto Legge, iniziando con una semplice e didattica distinzione fra “Biosicurezza esterna” e Biosicurezza interna”, argomento ormai da tempo noto ma che merita sempre un richiamo, in quanto la base per la comprensione e la successiva attuazione delle norme contenute nel Decreto. Il Decreto del 28 giugno 2022 del Ministero della Salute è stato pubblicato di concerto con il Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali ed il Ministero della Transizione Ecologica e riporta i “Requisiti di biosicurezza degli stabilimenti che detengono suini”. Il Decreto precisa che le misure di biosicurezza consistono in:

• Misure di protezione strutturali, come barriere (recinzioni, cancelli, muri di cinta o barriere naturali), accorgimenti per i locali di stabulazione dove sono detenuti gli animali, che devono permettere una efficace pulizia e disinfezione degli stessi., parcheggi e piazzole, accesso attraverso la zona filtro (per il personale ed i visitatori), strutture per il carico, attrezzature per il lavaggio e la disinfezione (mezzi), sistemi e strutture di stoccaggio, ecc;

• Misure di gestione, che devono essere descritte in un piano di biosicurezza aziendale e che comprendono procedure di ingresso e uscita dallo stabilimento, appropriate misure igienico-sanitarie in allevamento (cambio indumenti e calzature in entrata e in uscita dall’azienda, applicazione di adeguate procedure di disinfezione in corrispondenza dell’ingresso in azienda e nei locali di stabulazione), divieto di ingresso in azienda di persone/veicoli non autorizzati, compresi quelli non funzionali all’attività dell’allevamento e il divieto di contatto con i suini in allevamento nelle 48 ore successive alla attività venatoria, procedure per l’uso delle attrezzature, condizioni per i movimenti basate sui rischi, condizioni per l’introduzione di animali, mangimi, ecc., misure di quarantena e isolamento, procedure di disinfestazione e derattizzazione, ecc. Nel definire le misure di biosicurezza, il decreto tiene conto dell’orientamento produttivo, delle modalità di allevamento, della capacità massima dell’allevamento e turnover degli animali al suo interno, nonché del rischio di contatto con selvatici, in particolare della specie suina. I requisiti di biosicurezza variano anche a seconda che si tratti di allevamenti familiari (autoconsumo), allevamenti commerciali e stalle di sosta. Nell’Allegato del Decreto Ministeriale sono riportate nel dettaglio le misure di biosicurezza che ciascuno stabilimento dovrà adottare in base alla seguente suddivisione:
a) allevamenti familiari;
b) allevamenti commerciali, distinti in allevamenti stabulati ad elevata capacità (sono ad elevata capacità gli allevamenti commerciali con capacità massima superiore a 300 suini) e allevamenti stabulati a bassa capacità;
c) allevamenti semibradi ad elevata capacità e a bassa capacità;
d) stalle di transito;
e) trasportatori di suini.

Le Aziende Sanitarie Locali territorialmente competenti effettueranno le verifiche del rispetto dei requisiti di biosicurezza utilizzando le check list e le funzionalità del sistema Classyfarm. La verifica può essere svolta anche nell’ambito delle attività previste dai programmi di sorveglianza ed eradicazione delle malattie del suino. L’individuazione del campione di allevamenti viene effettuata attraverso il sistema ClassyFarm.it, anche in base al livello di biosicurezza ottenuto, dando precedenza agli allevamenti che non hanno un livello di biosicurezza caricato nel sistema. Fra gli ulteriori criteri potrà essere considerato anche il livello di consumo dei farmaci veterinari in azienda rispetto alla media regionale. Al fine di agevolare la raccolta e l’elaborazione dei dati acquisiti durante la verifica dei suddetti requisiti, “la sezione biosicurezza suini” del sistema informativo Classyfarm.it è stata riorganizzata con la predisposizione di n. 4 check list, ognuna delle quali si riferisce ad una delle tipologie di allevamento previste dal Decreto in oggetto (allevamento stabulato e allevamento semibrado, ciascuno ulteriormente suddiviso a seconda che la capacità massima superi o meno il numero di 300 capi)”. A conclusione della sua presentazione, il dr. Giacomini ha portato alcuni esempi pratici in cui ha evidenziato come, migliorando ed implementando le misure di biosicurezza interna ed esterna, in allevamenti da lui seguiti in qualità di Veterinario Aziendale, siamo di molto aumentate le condizioni sanitarie delle mandrie allevate e di conseguenza le performances produttive. La parola è poi passata al dr. Renda, il quale ha riportato come il rispetto e la corretta applicazione delle misure di biosicurezza contribuiscono ad aumentare lo stato sanitario degli animali e quindi permettono di ridurre in modo considerevole l’utilizzo di antibiotici, soprattutto per terapie di massa. Ha presentato inoltre una serie di prodotti che Wisium propone, da utilizzare nella dieta dei suini, specifici per le varie fasi di allevamento e indicati nella prevenzione di diverse problematiche sanitarie, prodotti il cui uso permette di ridurre notevolmente l’utilizzo di antibiotici.

Numerose le domande ai relatori ed al dr. Alborali e numerosi anche gli interventi degli allevatori e dei tecnici presenti, il che ha fatto sì che l‘interesse suscitato da questa riunione abbia raggiunto l’obiettivo degli organizzatori; informare ed aggiornare in modo semplice ed intuitivo il maggior numero di allevatori. Dulcis in fundo, la Cooperativa F.C.S. (Filiera Cooperativa Suinicoltori) ha organizzato in modo esemplare, per opera del suo “mentore” Mario Delporto, un momento ludico e di aggregazione servendo ai partecipanti una, come la definisce lui, “verticale di salumi”, frutto del compimento del percorso di filiera intrapreso da F.C.S. ormai da più di 10 anni.

Da incontri di questo genere si capisce sempre di più in che direzione sta andando l’allevamento di suini ed in generale tutti gli allevamenti di animali destinati all’alimentazione umana, siano essi intensivi che non. Avremo allevamenti sempre più controllati e sicuri, in grado di permettere agli animali di godere del massimo benessere in condizioni sanitarie migliori grazie ad un uso maggiore e più mirato di vaccini ed all’utilizzo di prodotti non antibiotici, contribuendo così in modo significativo alla riduzione al problema dell’antibiotico-resistenza.

Quanto costa produrre un litro di latte?

Quanto costa produrre un litro di latte?

di Paolo Malizia e Sonia Rumi

La domanda che viene posta spesso a un tecnico della cooperativa è “Quanto costa, oggi, fare un litro di latte?” per provare a rispondere abbiamo simulato la variazione di costi delle singole materie prime che compongono una razione standard a partire da gennaio 2020 ad oggi (Tabella 1).

La razione presa in considerazione è per la produzione di latte destina alla caseificazione come Grana Padano e i componenti sono quelli classici dell’area Lombardia. I prezzi imputati sono, nel caso dei concentrati, riferiti a un listino Comazoo settimanale basato sulla Borsa Merci Milano o al listino mensile dei mangimi Comazoo basato sui prezzi di acquisto della cooperativa; nel caso dei foraggi, ci si è basati sempre sui listini settimanali della Borsa merci di Milano o ad una quotazione plausibile di mercato. La produzione di latte è stata fissata a 35 litri capo giorno e per la valorizzazione dello stesso si è utilizzato il bollettino CLAL Lombardia non comprendendo il valore medio mensile del pagamento qualità. Partendo da questi dati è stato calcolato un IOFC teorico giornaliero per capo. Dalla Tabella 2 si evince facilmente che i prodotti che hanno subito una variazione superiore al 100% sono le materie prime che apportano la maggior parte della quota lipidica della razione. Purtroppo, l’allevatore non ha alternative all’acquisto della quota lipidica non essendo in grado di autoprodurla.

La quota di mais granella, utilizzato sottoforma di farina, subisce una variazione di prezzo di oltre il 90%; pesando, quindi, in maniera molto forte sull’aumento del costo razione. I foraggi, generalmente, di produzione aziendale o di acquisto su un mercato di tipo locale, subiscono una variazione che può essere più significativa per i foraggi che vengono influenzati da un mercato di tipo settimanale (es. fieni e mediche), mentre in maniera minore è variato il prezzo dei foraggi di esclusiva produzione aziendale (es. silomais e pastone integrale). Per quanto riguarda la parte di concentrato proteico, il nucleo prodotto da Comazoo, nei 2 anni e mezzo presi in considerazione, aumenta il proprio prezzo del 37,4%.

L’aumento di costo del prodotto in questione, composto da soia farina d’estrazione proteica, girasole farina di estrazione decorticata e integrazione vitaminico minerale e oligoelementi, rispetto all’acquisto a mercato delle stesse materie prime, risulta essere notevolmente inferiore; infatti, la soia farina d’estrazione proteica nello stesso periodo subisce un incremento di prezzo dell’88% e il girasole farina di estrazione decorticata del 57%. Questo aspetto è il risultato dei meccanismi di acquisto della Cooperativa a favore dei propri soci; non dimenticando che la quotazione mensile dei mangimi Comazoo, in un periodo come questo di continuo aumento del valore delle materie prime, garantisce al socio una condizione di acquisto sempre più vantaggiosa rispetto ai listini materie prime che si susseguono settimanalmente durante il mese. Il costo razione nel periodo preso in considerazione aumenta quasi del 50%.

In genere, l’alimentazione è il centro di costo principale, raggiungendo spesso il 75% di tutti i costi operativi; è quindi quello che condiziona maggiormente il profitto. Da solo è spesso il 60% del costo litro latte. Dal costo razione giornaliero e dal prezzo medio del latte (Tabella 5) abbiamo ricavato un IOFC teorico (Income Over Feed Cost – ricavi al netto del costo alimentare), in grado di dare una precisa indicazione, avendo fissato produzione e razione, della prospettiva economica della azienda agricola.

È evidente che pur in condizioni di continuo aumento dei costi di alimentazione, l’aumento del prezzo del latte genera una marginalità lorda maggiore a Luglio 2022 rispetto ai mesi precedenti. Nel mese di Settembre 2022 le aziende agricole hanno inserito nelle razioni alimentari i foraggi autoprodotti o acquistati della campagna 2022. In conseguenza della grave crisi idrica che ha colpito la Lombardia e non solo, le scarse produzioni e conseguente scarsa disponibilità di foraggi hanno determinato un forte aumento del prezzo degli stessi. Si è, quindi, simulato un costo razione basato sulle quotazioni attuali di foraggi e materie prime concentrate (Tabella 6).

Appare evidente che per effetto del rincaro delle valorizzazioni dei foraggi aziendali, pur in presenza di un ulteriore aumento del prezzo del latte, il ricavo al netto del costo alimentare diminuisce (Tabella 7).

Un’ulteriore valutazione è che il prezzo elevato dei foraggi incide in maniera significativa anche sulle razioni degli animali non destinati alla produzione di latte (manze e asciutte). Si evidenzia, inoltre, l’assoluta necessità, per le aziende zootecniche da latte, di avere produzioni aziendali foraggere adeguate al fabbisogno zootecnico per garantire una sostenibilità non solo ambientale ma anche economica. La valutazione che abbiamo fatto ha tenuto conto solo del costo alimentare, che rientra nelle nostre competenze; per ottenere il costo reale di produzione bisogna aggiungere ai costi alimentari tutti gli altri costi quali manodopera, ammortamenti, energia, costi finanziari, mezzi tecnici, etc. Negli ultimi mesi alcuni di questi costi, in particolare quelli energetici, hanno subito aumenti molto significativi.

In uno scenario di questo tipo, cosa possono fare le aziende zootecniche per tenere sotto controllo i propri costi alimentari? Innanzitutto, ragionare per centri di costo, che significa suddividere i costi alimentari in costi di produzione (lattazione e asciutte) e costi di sostituzione (vitelle e manze). Cercare di raggiungere la maggiore autosufficienza produttiva, garantendo quantità adeguate di foraggi aziendali con un costo definito annuale; per fare questo è indispensabile un rapporto di collaborazione tra agronomo e nutrizionista, come avviene e dovrà avvenire sempre di più tra i tecnici delle cooperative. Puntare ad ottenere la massima efficienza alimentare (litri di latte prodotti per Kg di sostanza secca ingerita); affidandosi ad un tecnico alimentarista non in conflitto di interessi, quindi non legato ad aziende mangimistiche/integratoristiche, che possa, quindi, liberamente ricercare le soluzioni più adeguate a favore dell’azienda agricola. Il Servizio Tecnico di Comazoo è l’unico che opera con questo tipo di finalità e cioè il miglioramento agricolo e zootecnico delle aziende socie, andando alla ricerca delle soluzioni più efficienti ed economiche grazie anche alle regole che caratterizzano il mondo cooperativo.

Sviluppo sociale del vitello

Sviluppo sociale del vitello

di Sujen Santini

L’importanza del contatto tattile e visivo

La cura del vitello è un aspetto strategico dell’allevamento della vacca da latte: la consapevolezza della sua importanza è progressivamente aumentata negli allevatori, così come l’attenzione dei consumatori al loro benessere e del sistema legislativo comunitario. Ne è un chiaro esempio il decreto legislativo n. 126 del 7 Luglio 2011, attuazione della Direttiva 2008/119/CE, che fissa i requisiti minimi per la protezione dei vitelli negli allevamenti, tra cui la necessità di contatto tattile e visivo tra conspecifici.

L’adeguamento del sistema di allevamento alle disposizioni di legge ha destato parecchie perplessità tra gli allevatori, preoccupati soprattutto dell’integrità sanitaria dei vitelli, particolarmente critica tra le 2 e 4 settimane di età. Questa normativa sdogana la priorità di perseguire il benessere animale, inteso come possibilità di manifestare il proprio etogramma di specie, anche a fronte di una maggior rischio sanitario. Allevare rispettando le esigenze di benessere animale però non è necessariamente un freno alla redditività, soprattutto alla luce delle recenti evidenze che la comunità scientifica ha prodotto a riguardo, che suggeriscono che il raggruppamento sociale può migliorare la crescita e il benessere dei vitelli da latte incoraggiando una maggiore assunzione di mangime, riducendo lo stress, favorendo l’aumento di peso durante lo svezzamento e sostenendo lo sviluppo di un normale comportamento sociale. Aspetti etologici Poco prima del parto le vacche tendono a separarsi dalla mandria e a partorire in un’area protetta e appartata. Alla nascita il vitello riceve cure specifiche che favoriscono l’instaurarsi del legame materno entro le successive 24 ore. Numerose ricerche confermano che vacche e vitelli sperimentano forti legami emotivi che si formano rapidamente dopo la nascita e che il processo naturale di svezzamento può richiedere molti mesi. Tutti i vitelli sani stanno in piedi e si allattano autonomamente entro le 3 ore dalla nascita: il vitello ha infatti, già dai primi minuti di vita, un forte stimolo ad allattarsi che si attiva quando la mucosa orale viene stimolata. Durante la prima settimana di vita viene allattato circa 8-12 volte al giorno; ogni poppata ha una durata di circa 10 minuti. Nelle due settimane successive, il vitello riposa a lungo e si allatta per 6-8 volte al giorno con una durata media della poppata di 7 minuti, preferendo uno o due capezzoli in particolare; inizia ad aumentare la distanza dalla madre e il contatto con i coetanei con i quali può formare piccoli gruppi che interagiscono anche con animali adulti.

A 1 mese di età i vitelli si impegnano in circa 9-10 attacchi di suzione/giorno, a 4 mesi 8 attacchi/giorno e a 6 mesi 5-6 attacchi/giorno. I vitelli trascorrono la maggior parte del loro tempo sdraiati a riposare, i comportamenti di gioco e grooming tra conspecifici raggiungerà il picco all’età di quattro mesi. Le interazioni sociali dei giovani bovini sono funzionali all’imparare a riconoscere la dieta e l’habitat adatti, dove la selezione avviene attraverso l’imitazione: la neofobia alimentare, definita come evitamento e riluttanza ad assaggiare cibi non familiari, diminuisce se si nutrono in grandi gruppi di generazioni miste, poichè sono in grado di utilizzare l’apprendimento sociale per trasmettere informazioni sugli alimenti adatti da selezionare, consentendo a un animale inesperto di evitare l’inefficienza e il rischio di testare ogni nuovo tipo di alimento. I vitelli allevati con la madre e altri conspecifici iniziano a pascolare e ruminare a circa 3 settimane di età.

Il tempo di pascolo aumenta con l’età; a 1 mese, i vitelli, trascorrono circa 2 ore/giorno al pascolo, tempo che poi aumenta a quasi 9 ore/giorno quando i vitelli hanno 4 mesi.

I vitelli formano spesso sottogruppi basati sulla familiarità e sulla parentela: la stretta relazione tra mamma e vitello continua infatti anche dopo lo svezzamento e dopo la nascita di vitelli fratelli. Quando i vitelli vengono svezzati rafforzano i legami con i conspecifici; hanno quindi accesso a un gruppo sociale complesso e caratteristiche fisiche variabili (spazio da esplorare, foraggi diversi, topografia e tipi di suolo variabili, condizioni climatiche mutevoli, etc.) che influenzano il loro sviluppo cognitivo e comportamentale.

Esistono numerosi studi (tabella 1) che mostrano effetti emotivi e cognitivi positivi nello stare in gruppo, nonché una maggiore ingestione di mangime solido e un conseguente migliore incremento ponderale. È interessante notare che l’effetto positivo della socializzazione è stato riscontrato anche con piccoli gruppi (2-4 vitelli). Al contrario, l’isolamento si traduce in abilità sociali carenti, difficoltà nell’affrontare nuove situazioni, deficit cognitivi e una maggiore reattività dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene ai fattori di stress. È stato infatti dimostrato che l’isolamento influenza lo sviluppo della corteccia prefrontale, responsabile del controllo comportamentale e del processo decisionale: questi aspetti possono quindi avere riflessi anche a lungo termine (studio condotto su vacche adulte -2,5 anni) e fare la differenza nella routine di gestione della mandria quando gli animali sono esposti a nuovi eventi, quali ad esempio cambio di alimenti o di tipologia di somministrazione, spostamenti in un settore diverso della stalla, formazione di nuovi gruppi, nuove procedure di mungitura, etc.

Decreto Legislativo n. 126/2011 Il decreto identifica come vitello un animale della specie bovina fino a 6 mesi di età e le disposizioni non si applicano ad aziende con meno di 6 vitelli e ai soggetti mantenuti presso le madri (linea vacca-vitello). Dalla nascita fino alle 8 settimane di età il vitello può essere allevato in un box che deve avere le pareti divisorie traforate in modo da permettere un contatto diretto, visivo e tattile, tra i vitelli. Le misure dei ricoveri devono permettere ai vitelli di coricarsi, muoversi ed alzarsi senza difficoltà: il box a norma avrà una larghezza almeno pari all’altezza al garrese e una lunghezza almeno pari alla lunghezza del vitello moltiplicata per 1,1 (mediamente e indicativamente perciò 130 cm di lunghezza e 80 cm di larghezza). Dopo le 8 settimane di vita, è fatto divieto di mantenere i vitelli in box individuali a meno che un medico veterinario non certifichi la necessità di farlo per motivi sanitari o comportamentali. Lo spazio a disposizione deve rispettare i seguenti parametri:

Vitello di peso < 150: kg 1,5 mq a capo Vitello di peso ≥150 kg ma ≤ a 220 kg: 1,7 mq a capo Vitello di peso > 220 kg: 1,8 mq a capo

I materiali utilizzati non devono essere nocivi per il vitello e devono essere regolarmente puliti e disinfettati. I pavimenti non devono essere sdrucciolevoli e devono essere costruiti in modo da non provocare lesioni o sofferenza. Tutti i vitelli di età inferiore alle 2 settimane devono avere una lettiera adeguata, e cioè non in grado di arrecare danni al vitello, asciutta, confortevole e pulita. Un’attenzione particolare inoltre deve essere rivolta a mantenere temperatura, umidità, ventilazione e illuminazione idonei. È fatto assoluto divieto dell’uso della museruola e i vitelli non devono essere legati. La colostratura deve avvenire al massimo entro 6 ore dalla nascita. Tutti i vitelli vanno nutriti almeno 2 volte al giorno e, se sono allevati in gruppo senza allattatrice automatica, va garantito che ciascuno di loro abbia accesso contemporaneamente agli alimenti. Tutti gli animali devono avere accesso continuo a un’appropriata quantità di acqua e il numero e la posizione degli abbeveratoi devono far in modo che l’animale non abbia bisogno di competere o aspettare troppo a lungo per abbeverarsi. L’eliminazione dell’abbozzo corneale è consentita per cauterizzazione o causticazione purché venga effettuata entro le tre settimane di vita da un medico veterinario o da personale qualificato adeguatamente addestrato, riducendo al minimo ogni sofferenza attraverso l’impiego di adeguata anestesia e/o analgesia.

Stabulazione in gruppo: effetti sull’ingestione di mangime e incremento ponderale
L’“apprendimento sociale”, nei vitelli stabulati in gruppo nelle prime settiatlante mane di vita, favorisce l’avvio precoce dell’assunzione di mangimi solidi e ne aumenta il quantitativo assunto soprattutto nella fase di pre-svezzamento, con conseguente maggiore incremento ponderale. È dimostrato che l’allevamento in coppia dei vitelli, a partire dalla prima settimana di vita, aumenta l’assunzione di mangime e l’incremento di peso rispetto all’allevamento individuale e all’accoppiamento dei vitelli a 6 settimane di età. Inoltre, i vitelli allevati in gruppo possono beneficiare di una maggiore assunzione di concentrato rispetto ai vitelli precedentemente allevati individualmente anche dopo lo svezzamento, sia perché maggiore è l’assunzione di mangime e migliore è il passaggio alla sola dieta solida, sia perché risultano più veloci nel localizzare il mangime e avvantaggiati in situazioni competitive con una migliore resilienza allo stress. Si ricorda che numerosi lavori hanno ormai dimostrato i vantaggi degli incrementi di peso precoci durante il periodo di allattamento sui successivi aumenti di peso delle manze, sull’inizio della pubertà e sulla produzione di latte nella prima e nelle successive lattazioni.

Alcuni dati
A sostegno di quanto detto finora vediamo, a titolo di esempio, alcuni risultati recentemente pubblicati dall’ American Dairy Science Association. Venti vitelli Holstein sono stati alloggiati individualmente (IH; 10 vitelli) o in coppia (PH; 10 vitelli) dalla nascita. I vitelli sono stati allattati con latte in polvere ricostituito somministrato ad libitum tramite tettarella (1 tettarella fornita per vitello) e mangime a disposizione. Sono stati poi svezzati diluendo gradualmente il sostituto del latte da 39 a 49 giorni di età. Dopo lo svezzamento i vitelli IH sono stati accoppiati all’interno del trattamento e tutti i box (n = 5 per trattamento) hanno ricevuto mangime pellet ad libitum con un monitoraggio fino a 13 settimane di età.
I valori sono mostrati separatamente per i vitelli alloggiati in recinti individuali per la fase dello svezzamento, quindi per il post-svezzamento in coppia (IH) e per i vitelli alloggiati in coppia per l’intero studio (PH) (Grafico 1). Si tratta di valori mediati tra i vitelli in un recinto, la settimana di età e il trattamento. A sei settimane l’assunzione di latte è stata pari a 9.8 litri per entrambi i gruppi.

Durante lo svezzamento, l’acqua totale (linea continua) consumata era composta sia dall’acqua libera (linea tratteggiata) che da quella del succedaneo del latte (Grafico 2). Le fermentazioni ruminali iniziano precocemente e le concentrazioni di acidi grassi volatili aumentano proporzionalmente alla maggiore assunzione di mangime solido (Grafico 3). Tra questi il butirrato, il più attivo nello stimolare lo sviluppo delle papille ruminali, viene ossidato in chetone (BHB) e assorbito, quindi rilevabile come concentrazione ematica. Dopo lo svezzamento i vitelli precedentemente alloggiati individualmente hanno sperimentato una forte diminuzione del tempo di riposo che non è stato osservato nei vitelli alloggiati in coppia (Grafico 4). Questa risposta comportamentale non è sorprendente, poiché quel giorno hanno sperimentato le loro prime interazioni sociali dirette con un altro vitello. Per contro, i vitelli alloggiati in coppia hanno mostrano risposte comportamentali ridotte al mescolamento e allo svezzamento.

Stabulazione in gruppo: possibili criticità

Cross-sucking
Si tratta della manifestazione di comportamenti di suzione di un vitello diretti al corpo di un conspecifico ed è potenzialmente associato a danni alla mammella e trasmissione di patogeni (S. aureus). I vitelli alloggiati individualmente si impegnano in altre stereotipie orali dirette verso il proprio corpo o parti della struttura del box. Poiché il riflesso di suzione (e la sua durata) è innato, e pertanto inevitabile. Il metodo più efficace per gestire questo problema è fornire la possibilità di manifestare il comportamento somministrando il latte tramite tettarella, lasciando quest’ultima a disposizione per un tempo adeguato alla durata del riflesso stesso (circa 10 minuti). Inoltre, la suzione è innescata dalla necessità di alimentarsi; è quindi fondamentale che i vitelli, in un programma di allattamento razionato, abbiano sempre a disposizione mangime solido ad libitum e acqua fresca.

Aspetti sanitari
Le malattie enteriche e respiratorie possono essere trasmesse attraverso la trasmissione orizzontale, in particolare il contatto nasale e oro-fecale. Il box singolo, oltre a prevenire questa trasmissione facilita il monitoraggio dello stato di salute e quindi favorisce interventi più tempestivi. Il principale fattore che influenza il tasso di morbilità e mortalità è la dimensione del gruppo: numerosi studi confermano che l’alloggiamento in coppia, nell’ambito di una corretta gestione della vitellaia, non incide sul rischio di esposizione sanitaria. Un altro fattore da considerare è il metodo di raggruppamento, dando la preferenza a gruppi stabili e praticando il tutto pieno/tutto vuoto. Bisogna poi ricordare che la trasmissione delle malattie è complessa e molte altre pratiche di gestione influenzano il rischio sanitario compresi la biosicurezza, le pratiche di colostratura, i metodi di alimentazione, l’igiene, la ventilazione e il monitoraggio della salute.

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