di Mario Comba

Cheratocongiuntivite del bovino: controlliamo le mosche per evitarla

La Cheratocongiuntivite Infettiva Bovina (IBK), è una patologia oculare presente in tutto il mondo, altamente contagiosa, non mortale, ma che può incidere in maniera determinante sull’economia dell’allevamento. E’ causata da un germe del genere Moraxella, e più precisamente da Moraxella Bovis che solitamente agisce come unico agente coinvolto nell’infezione.

Si sospetta però che i batteri del genere Mycoplasma, Chlamydia, l’Herpes virus Bovino tipo 1 (IBR) ed il Virus della Diarrea Bovina (BVD) possano predisporre i bovini alla colonizzazione da parte di Moraxella o che possano peggiorare la gravità di questa patologia, che si manifesta soprattutto in estate, durante la stagione del pascolo o in determinate condizioni di allevamento (ad es. in bovini allevati in feed-lots). Il riscontro però della malattia anche nelle vitellaie di diversi allevamenti di bovini da latte di pianura, impone ad allevatori e veterinari una attenzione particolare già dalla comparsa dei primi sintomi. Gli animali adulti non sono immuni dall’infezione, soprattutto quando allevati in condizioni di sovraffollamento ed in presenza di forti infestazioni da insetti vettori.

La trasmissione avviene attraverso il secreto oculare, quindi attraverso un stretto contatto degli animali, per l’azione di insetti, alimenti contaminati, acqua di abbeverata o mani del personale addetto agli animali. Le mosche rappresentano però la prima causa di trasmissione del batterio da un animale all’altro, attraverso il trasporto del secreto lacrimale infetto. Altri fattori concorrono però alla diffusione della malattia nella mandria: l’età dell’animale (giovani), la concentrazione (elevata), il trasporto, la luce solare (raggi uv), la presenza nell’aria di alte concentrazioni di polvere e pollini, la presenza, nell’erba del pascolo, di essenze vegetali ad effetto irritante per gli occhi e la carenza di vit A della razione alimentare. La cheratocongiuntivite si manifesta nello stadio iniziale con fotofobia (fastidio provocato dalla luce), arrossamento della congiuntiva, scolo lacrimale, chiusura delle palpebre e, talvolta, febbre ed inappetenza. Successivamente si verifica la formazione di un area opaca nella parte centrale della cornea, inizialmente puntiforme e successivamente più allargata ed ispessita. Questa lesione si trasforma rapidamente in ulcera della cornea e, in mancanza di trattamento, l’infezione può estendersi all’interno dell’occhio, con perforazione della cornea, prolasso dell’iride e successiva perdita completa della funzionalità dell’occhio e quindi della vista. Anche in animali trattati precocemente possono rimanere cicatrici corneali con compromissione definitiva della vista.

La durata di questa malattia è diversa a secondo del quadro clinico, ma mediamente oscilla tra qualche giorno ed alcune settimane. In alcuni vitelli malati, la cornea, già tre giorni dopo l’inizio della malattia, è già così opaca da impedire totalmente la visione. Le forme leggere possono guarire spontaneamente, ma, proprio per questo, vengono spesso sottovalutate e prese come pretesto per non trattare gli animali malati.

Come moltissime patologie, è indispensabile essere certi della diagnosi, per distinguere questa cheratocongiuntivite da altre forme dovute a presenza di corpi estranei nel sacco congiuntivale, ferite corneali, congiuntiviti da virus (IBR e BVD) e congiuntiviti batteriche (Mycoplasma, Chlamydia, Listeria). Il tampone oculare ben eseguito e trasportato tempestivamente al laboratorio in terreno di coltura appropriato (gel di agar), rappresenta certamente un ottimo sistema diagnostico.

Gli animali ammalati vanno collocati in ambienti non fortemente illuminati, a causa dello stress provocato loro dalla luce diretta. Il trattamento locale con pomate o colliri oftalmici contenenti prodotti antibiotici, pur essendo efficace, risulta certamente di difficile esecuzione, soprattutto se il numero di animali colpiti dalla malattia è elevato. La terapia parenterale con Tulatromicina (prodotto registrato per l’IBK, ma non utilizzabile in animali in lattazione) per via sottocutanea in unica iniezione è risultato efficace nella riduzione della sintomatologia a patto di allontanare comunque i soggetti colpiti da quelli apparentemente sani.

Sono allo studio vaccini stabulogeni realizzati utilizzando ceppi Moraxella Bovis isolati da prelievi in azienda ed utilizzati successivamente per la vaccinazione dell’intera mandria. Di grande importanza rimane il controllo delle mosche con marche auricolari impregnate di repellenti per gli insetti, la riduzione al minimo della polvere presente nei fieni e nelle mangiatoie, la creazione di zone d’ombra per gli animali e, indirettamente, l’immunizzazione contro malattie virali come la Rinotracheite Infettiva Bovina (IBR) e la Diarrea Bovina da Virus (BVD). Nonostante questa patologia non porti a morte i giovani bovini colpiti, il suo impatto economico può essere notevole a causa della riduzione dell’incremento ponderale conseguentemente dell’impatto sulle performance riproduttive e produttive previste per la rimonta della mandria.