Una zoonosi da conoscere

di Mario Comba

La Febbre Q (Q Fever) è una patologia descritta per la prima volta nel 1935 in Australia in un gruppo di macellatori colpiti da una febbre mai vista prima, da cui il nome Query (punto interrogativo) fever. È una malattia infettiva contagiosa causata dalla rickettsia Coxiella burnetii, zoonosi importante nell’uomo, che si ammala dopo contagio respiratorio (polvere o areosol), orale (consumo di latte crudo) o percutaneo (ferite durante l’assistenza al parto) (Stober M. 2004). Diffusa in tutto il mondo, è considerata una patologia emergente. C. burnetii è in grado d’infettare un ampio numero di ospiti, e le specie animali sensibili alla malattia includono mammiferi domestici e selvatici, uccelli selvatici, rettili e anche zecche (Raoult et al., 2005). Il più importante serbatoio d’infezione è rappresentato dai ruminanti domestici da cui il microrganismo può passare all’uomo nelle modalità sopra descritte. Nei bovini l’infezione è spesso asintomatica, in alcuni casi possono manifestarsi aborti tardivi, natimortalità o altre patologie dell’apparato riproduttore, come ritenzioni placentari, metriti, riassorbimenti (Arricau-Bouvery e Rodolakis, 2005). La disseminazione di C. burnetii nell’ambiente avviene di solito dopo il parto o l’aborto, ma il patogeno viene eliminato, con cariche batteriche più basse, anche nel latte, nelle feci e nell’urina (An¬gelakis E. e Raoult D., 2010). Cause Gli animali ed anche l’uomo acquisiscono normalmente l’infezione inalando l’aerosol contaminato da forme extracellulari di C. burnetii eliminate dai soggetti infetti (Tissot- Dupont e Raoult, 1992; Porter et al., 2011; Piñero et al., 2013), ma nei bovini è considerata come via d’infezione anche quella orale (McQuiston e Childs, 2002). Dopo una prima replicazione nei linfonodi regionali prossimi alla porta d’ingresso dell’infezione, si ha una batteriemia che dura da 7 a 21 giorni a seguito della quale l’organismo si localizza nella ghiandola mammaria e nella placenta degli animali infetti (Forland et al., 2010). Nei bovini solitamente l’infezione si propaga ad animali recettivi tramite l’ambiente contaminato da un animale infetto che spesso elimina il microrganismo al momento del parto: i nuovi infetti sviluppano l’infezione primaria con pochi o nulli sintomi clinici ma il batterio, dopo l’iniziale fase acuta, può persistere nell’organismo dando luogo ad un’infezione cronica, ed essere eliminato in grandi quantità nell’ambiente quando la bovina, persistentemente infetta, partorisce. Al termine della gravidanza la placenta consente al microrganismo di replicarsi fino ad alti titoli e al parto esso viene escreto nell’ambiente tramite il liquido amniotico e gli altri fluidi fetali (Harris et al., 2000). Grandi quantità di batteri sono escreti in forma di aerosol contaminando l’ambiente e il livello di anticorpi, in particolare le IgG, aumentano di concentrazione nel sangue. Nelle gravidanze successive la bovina ha una escrezione più bassa o addirittura nulla di batteri al parto, ma può continuare ad eliminare il microrganismo nel latte per un lungo periodo di tempo (Woldehiwet, 2004).

Sintomi

Spesso la Febbre Q nel bovino presenta un decorso asintomatico; risulta quindi difficile emettere una diagnosi sulla base di segni clinici evidenti. Si verificano infezioni latenti della mammella e dell’apparato genitale e, in alcuni casi, aborto dopo il sesto mese di gravidanza. Si possono riscontrare anche natimortalità, ritenzione di placenta, metriti e sintomi respiratori (Stober M. 2004).

Diagnosi

La diagnosi della malattia può essere eseguita solo attraverso il ricorso al laboratorio e, purtroppo, negli animali le metodologie non sono ancora pienamente standardizzate come nell’uomo, per cui l’individuazione degli allevamenti e dei soggetti infetti resta un punto critico per il controllo di questa patologia. Numerose tecniche diagnostiche sono disponibili, sia di tipo diretto, con l’identificazione dell’agente eziologico, che indiretto con la determinazione degli anticorpi anti C. burnetii. Purtroppo nessuna di queste metodiche è stata riconosciuta come test ufficiale dall’OIE, per cui la diagnosi della malattia deve prevedere l’impiego combinato di più metodologie su più soggetti, ed i risultati diagnostici vanno valutati a livello aziendale più che a livello individuale (Barberio A. e Natale A. IzsTreVe 2017). Dopo il parto C.Burnetii viene eliminata nel muco vaginale per un periodo di 14 giorni, e per questo il prelievo delle secrezioni vaginali per la diagnosi diretta deve essere effettuato entro 7 giorni dal parto stesso (Sidi-Boumedine et al.2010). Negli allevamenti infetti alcune vacche possono eliminare a lungo e persistentemente il microrganismo nel latte anche in carica abbastanza elevata. Questi soggetti probabilmente hanno una risposta immunitaria alterata nei confronti di C. burnetii, analogamente a quanto avviene nell’uomo, e sono importanti dal punto di vista epidemiologico in quanto mantengono la presenza dell’infezione in allevamento (Guatteo et al, 2007). La maggior parte delle vacche eliminatrici croniche ha un livello elevato di anticorpi che determina elevata sieropositività al test ELISA (Guatteo et al.,2007). L’elevata frequenza di escrezione di C. burnetii nel latte delle vacche pone il problema del possibile ruolo di questo alimento nella trasmissione dell’infezione all’uomo. Il consumo di latte e suoi derivati, contenenti C. burnetii, può determinare la comparsa di sieroconversione nell’uomo, mentre non vi sono chiare evidenze che possa indurre la comparsa della forma clinica di Febbre Q. Inoltre, il consumo di latte crudo o prodotti derivati al latte crudo costituisce un rischio di esposizione a C. burnetii relativamente più elevato rispetto al consumo di prodotti che abbiano subito un trattamento termico appropriato (Barberio A. e Natale A. IzsTreVe 2017). I materiali più idonei per la diagnosi diretta di Febbre Q nei bovini sono: il muco vaginale, la placenta, i tessuti fetali. Questi campioni devono essere prelevati dai feti abortiti, placente e scoli vaginali al più presto dopo l’aborto (Barberio A. e Natale A. IzsTreVe 2017). Il latte, il colostro e le feci possono essere impiegati per la ricerca dell’agente eziologico ma la diagnosi di malattia a partire da questi materiali biologici è meno affidabile (Sidi-Boumedine et al.2010). L’ELISA é la tecnica maggiormente impiegata per la diagnosi sierologica di Febbre Q nei ruminanti per la semplicità d’uso, vista la disponibilità di kit commerciali, per l’elevata sensibilità e specificità del metodo, la maggiore uniformità dei risultati ed anche per il costo contenuto dei reattivi. Il test ELISA può essere effettuato su siero o su latte di massa o di singolo animale ed è quindi raccomandato per l’esecuzione delle analisi sierologiche di routine nei bovini (OIE, 2015). La diagnosi di infezione in allevamento può essere eseguita attraverso un controllo sierologico eseguito su animali adulti. Sono sufficienti 10 campioni di sangue prelevati da bovine adulte pluripare, includendo anche animali con recenti problemi riproduttivi (metriti, infertilità, mancati secondamenti, aborti) (Sidi-Boumedine et al., 2010).

Fattori di rischio in allevamento

I due principali fattori di rischio per la diffusione dell’infezione sono l’acquisto di nuovi capi e la dimensione dell’allevamento (McCaughey et al.,2010; EFSA, 2010). Gli altri fattori di rischio individuati sono relativi alla pulizia ed igiene dei box parto (Taurelet al., 2011), alla presenza di ovicaprini (van Engelen et al., 2014), e alla mancata applicazione della quarantena agli animali acquistati Paul et al.(2012).
Per evitare l’entrata e diffusione dell’infezione vanno pertanto applicate le seguenti misure:
• Ridurre il numero di animali acquistati programmando in modo adeguato la produzione di una rimonta interna sufficiente;
• Applicare a tutti gli animali acquistati un periodo di quarantena: nel caso di animali gravidi questi vanno tenuti separati anche per il periodo peripartale (7 giorni prima e 7 giorni dopo il parto), in modo da evitare il periodo di massima escrezione del microrganismo;
• Usare per il parto dei box individuali che devono essere accuratamente puliti dopo il parto;
• Rimuovere immediatamente dai box parto, singoli o collettivi, gli aborti, le placente e la lettiera contaminata dai liquidi escreti durante il parto;
• Prevedere, per il personale esterno che viene a contatto con gli animali (es. veterinario) l’uso di calzari e vestiario mantenuto nell’azienda o disinfettato prima dell’accesso nella stessa;
• Evitare il contatto dei bovini con altri animali presenti in allevamento, in particolare ovicaprini;
• Evitare l’uso di pascoli promiscui con ovicaprini;
• Prevedere adeguati tempi di maturazione delle deiezioni prima di effettuare lo spandimento nei campi ed eventualmente ricorrere alla neutralizzazione di C. burnetii mediante trattamento con calcio cyannamide al 0,4% (Barberio A. e Natale A. IzsTreVe 2017).

Vaccinazione

È disponibile un solo vaccino registrato per la specie bovina, il Coxevac®, prodotto da CEVA salute Animale.
Nei bovini la vaccinazione con Coxevac® protegge gli animali dall’infezione o in ogni caso, riduce l’eliminazione di C. burnetii. In particolare le bovine non infette e non gravide quando vaccinate hanno una probabilità 5 volte più bassa di diventare eliminatrici di C. burnetii rispetto alle bovine non vaccinate (Guatteo et al., 2008). Al contrario, le vacche vaccinate durante la gravidanza mantengono inalterata la probabilità di diventare eliminatrici se infettate da C. burnetii (Guatteo et al., 2008).