di Angelo Bordoni
Nei momenti economicamente difficili non ci si può concentrare semplicemente sugli alimenti e sull’alimentazione, ma è, invece, necessario migliorare le proprie capacità manageriali.
Nei momenti economicamente difficili, non ci si può concentrare semplicemente sugli alimenti e sull’alimentazione, ma è, invece, necessario migliorare le proprie capacità manageriali.
Questi sono tempi in cui agli alimentaristi viene spesso richiesto di analizzare criticamente la gestione dell’allevamento per individuare eventuali soluzioni in grado di far risparmiare sui costi aziendali. Dall’ultimo trimestre 2021 abbiamo assistito ad un aumento vertiginoso dei prezzi di mais e soia, senza dimenticare naturalmente anche gli aumenti dei costi energetici, del gasolio agricolo e dei concimi. Di conseguenza, considerando che i costi alimentari incidono per un 50-60 % sui costi di produzione del latte, gli allevatori guardano con più attenzione le razioni delle loro vacche, cercando di eliminare quello che per loro è superfluo. Ma è fondamentale non eliminare quegli ingredienti che sono fondamentali per la produzione del latte ed i suoi componenti, per le condizioni di salute e immunitarie delle bovine e per la loro fertilità.
In queste fasi economiche non ci si può concentrare solamente sugli alimenti e sui programmi nutrizionali, ma è indispensabile anche migliorare le capacità gestionali in genere, per cercare di individuare qualsiasi eventuale errore. Non potendo influenzare i mercati, l’unica arma che resta all’allevatore per aumentare il proprio margine è aumentare l’efficienza, partendo da quella alimentare (minor costo a parità di produzione). In primis bisogna impostare una corretta scelta agronomica per garantirsi il corretto approvvigionamento dei foraggi aziendali per quantità e qualità. Che il miglioramento della qualità dei foraggi utilizzati sia la strada maestra per la riduzione dell’impiego dei concentrati è noto a tutti, ma spesso sottovalutato nella pratica.
Partendo dall’insilato di mais che rappresenta il foraggio di base per la maggior parte delle vacche italiane e che contribuisce ad abbassare il costo della razione, entra in razione in quantitativi che variano fra 20 e 30 kg. capo/giorno: maggiore è la quantità utilizzata, maggiore deve essere la sua qualità, soprattutto come profilo fermentativo (tabella 1). I limiti di impiego si presentano se sono presenti muffe, se la quantità di amido è bassa, se è caldo, se il profilo degli acidi grassi volatili è alterato e se presenti nitrati in eccesso.
Un altro alimento, molto utilizzato per diminuire l’acquisto da fornitori esterni di farina di mais, è il pastone integrale di mais (tutolo, granella e brattee) che non ha costi di trebbiatura, essiccazione e di mulino, ma solo di trincia, insilamento e copertura. Il valore energetico globale è inferiore solo del 10 % (ENl 2 vs 1,8) perché la fibra che apporta è di ottima qualità, a cui si associano maggior digeribilità della granella e migliore appetibilità. Inoltre, la fermentescibilità dell’amido è maggiore (tabella 2).
Qualche considerazione sul prezzo di accettazione. Se partiamo, ad esempio, da un prezzo della farina di mais alla bocca dell’animale di circa 30 €/ quintale, calcoliamo il punto di amido € 0,42 (30 € : 72% di amido sulla sostanza secca) e lo moltiplichiamo per il valore medio in amido del pastone (58 % sulla sostanza secca), otteniamo 24,4 €; a questo sottraiamo la differenza in umidità (26% = 18,06 €/q.) ed il costo di produzione (circa 2 €/q.) e otteniamo un valore di circa 16 €/q. Con la farina di mais a circa 30 € (bovini 30,6 €/q.; vacche latte 31,55 €/q) il pastone integrale riduce il costo razione se il suo prezzo è inferiore a 16 €/q. Nella contingente situazione economica sarebbe utile ridurre la quota di amido normalmente presente in razioni di vacche da latte (25-27 %), sostituendo l’amido di mais con fonti alternative. Ma la situazione è tale che alternative al mais sono poche o nulle, sia per il prezzo che per le caratteristiche diverse dell’amido. Orzo, frumento e farinaccio possono sostituire il mais solo in quota parte perché hanno un’alta capacità di ritenere acqua ed una maggiore degradabilità ruminale che causa feci tenere con riduzione della digeribilità dell’NDF della razione e possibile presenza di amido nelle feci (tabella 3).
Si potrebbe ridurre del 2-3 % la quota di amido della razione, inserendo altri carboidrati come emicellulose, cellulose, pectine e zuccheri che troviamo in foraggi (di qualità) o in concentrati come cruscami, buccette di soia, polpe di barbabietola o melasso, ma in questo momento anche i prezzi di questi prodotti sono aumentati. Quindi, ora possono essere presi in considerazione per una loro valenza nutrizionale più che economica.
Ridurre i costi dell’alimentazione proteica è apparentemente più facile, se si considera solo il parametro proteina grezza per formulare una razione. Ma così facendo si può incorrere in errori grossolani. Bisogna ricordare che la proteina della razione, soprattutto la quota solubile e rumino-degradabile, serve alla microflora ruminale per crescere e produrre biomassa attraverso la fermentazione dei carboidrati della razione. La proteina derivante dalla biomassa ruminale più la quota di proteina indegradabile costituisce la proteina metabolizzabile che è, quindi, la somma degli aminoacidi digeribili assorbibili dall’intestino e utilizzabili dalla bovina per le sue principali funzioni vitali. Nei ruminanti circa il 70 % di ciò che ingeriscono viene completamente trasformato dalla microflora ruminale di cui si deve cercare di massimizzare la produzione derivante dalla fermentazione della cellulosa. Tanto migliore è la digeribilità della componente foraggera, tanto minore sarà il rischio di eccessi di proteine e amidi, con vantaggi sulla funzionalità del digerente e sull’assorbimento dei principi nutritivi che permetteranno di migliorare le fermentazioni ruminali, ottenendo grandi quantità di proteina batterica. Naturalmente la sola proteina derivante dalla biomassa non è in grado di soddisfare i fabbisogni nutritivi di bovine con produzioni medio-alte: quindi, sono sempre indispensabili supplementi proteici (nuclei, mangimi, materie prime) ed eventualmente singoli aminoacidi rumino resistenti, in modo che la bovina riesca ad estrinsecare al massimo le sue potenzialità produttive permesse dalla genetica attuale.
Approfittando della situazione economica contingente che ci spinge a formulare razioni senza abusare di concentrati, ma senza, nel contempo, penalizzare la produzione e la qualità del latte, favoriamo anche una minore escrezione azotata nell’ambiente come inquinante (Direttiva Nitrati 91/676 CEE, recepita dal D.L.vo 152/1999 e dal Decreto ministeriale 7/4/2006).
In una situazione di prezzi degli alimenti ormai stabilmente alti da più di un anno l’approccio razionale alla nutrizione ed ai suoi principi fondamentali è quanto mai doveroso, anche se non ci si può concentrare semplicemente sull’alimentazione, ma è necessario anche migliorare il management dell’allevamento per cercare di limitare qualsiasi inefficienza economica.